Triennale Milano
Milano Segrate, ph. Jacopo Targa

Le università milanesi e il mistero. (In)visibilità: ciò che (non) vediamo quando osserviamo l'urbano

20 settembre 2022
Nell’ambito del percorso di approfondimento dei temi di Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, 23ª Esposizione Internazionale di Triennale, abbiamo coinvolto a partire da giugno 2021 ricercatori, dottorandi e studenti delle università milanesi e la rete delle comunità straniere in una serie di incontri e seminari organizzati e coordinati da Pupak Tahereh Bashirrad, architetto e dottore di ricerca.
Estetica e politica
Unknown Unknowns, ciò che non sappiamo di non sapere. È una dimensione onnipresente nella vita urbana quotidiana: attraversiamo le strade, i locali, le piazze e i giardini che conosciamo e in cui ci sentiamo bene, ma ignoriamo o decidiamo di evitare altri spazi della città che restano fuori dal nostro campo tanto visivo, quanto esperienziale. Ciò che non conosciamo del nostro ambiente è ciò che non vediamo, o ciò che non vogliamo vedere?
Viviamo in una società oculocentrica: l’esperienza umana non è mai stata tanto visiva e visualizzata quanto oggi. Vediamo l’universo con le immagini satellitari e i nostri corpi con le sonde ecografiche. Siamo sommersi e iper-stimolati da un’infinità di immagini che elaboriamo a una velocità fisiologica sempre maggiore. Eppure, il solo fatto di vedere molto e velocemente non implica automaticamente che comprendiamo il mondo. Talvolta lo capiamo solo con un certo e singolare punto di vista: il vedere e la vista non sono meri fenomeni biologici, ma complesse costruzioni culturali che ci permettono di leggere e interpretare il reale. Non solo vediamo, ma visualizziamo oggetti, spazi e persone con un occhio mentale costruito socialmente. Jacques Rancière scriveva a tal proposito che alla base della politica c’è un’estetica, un sistema di codici culturali impliciti e aprioristici che definiscono ciò che è dato da percepire, e come, secondo canoni di visibilità e di linguaggio. Non tutto si può dire, non tutto si può vedere.
"Il cittadino, scrive Aristotele, è colui che ha una parte nel governo e nell’essere governato. Ma un’altra forma di ripartizione precede questo aver parte: quella che determina chi potrà avere parte. [...] La partizione del sensibile rende visibile chi può avere parte al comune in funzione di ciò che fa, del tempo e dello spazio nel quale la sua attività si esercita. [...] il che definisce il fatto di essere o non essere visibile all’interno di uno spazio comune, di essere o non essere dotato di un linguaggio comune, etc. Alla base della politica c’è dunque un’estetica." (Rancière 2016, pp. 13-14)
L’estetica alla base della polis è un ordine sociale. Ma la con-divisione di questi codici crea una divisione all’interno di una “comunità del sensibile”, che “condivide un sistema di regole composto da criteri visuali mutualmente riconoscibili di ordine e disordine” (Ghertner, 2015). Cosa fare di ciò che esula da questi limiti? Dove relegare ciò che non si vuole vedere, né udire? Come comportarsi davanti a ciò che si vede ma non dovrebbe essere visto? Esiste uno spazio per nuove estetiche politiche?
Per rispondere, può tornare molto utile la rivendicazione del “right to look” di Nicholas Mirzoeff  (2011): il diritto allo sguardo, inteso come consapevolezza e libertà tanto del diritto di guardare che quello di essere guardati. Si tratta di “un diritto al reale. Il diritto allo sguardo non è solo una questione di vedere. Ma comincia a un livello personale con lo sguardo negli occhi di qualcun altro […] Il diritto allo sguardo rivendica autonomia, non individualismo o voyeurismo, ma è la rivendicazione di una collettività e di una soggettività politica” (Mirzoeff, 2011).
Allenare il diritto allo sguardo significa allargare la nostra capacità di vedere anche ciò che solitamente non è visto, né visualizzato o rappresentato. Il diritto allo sguardo potrebbe permetterci di scorgere qualcosa all’interno degli Unknown Unknowns che ci circondano nelle nostre città, e così scoprire la possibilità di estetiche alternative.

In questo turbinio di immagini, vedere è molto più che credere. Non è solo parte della vita quotidiana, è la vita quotidiana stessa*
Invisibilità, housing e rigenerazione urbana
La produzione sociale dello spazio urbano procede per frammentazione, con processi che si materializzano in speculazione immobiliare, privatizzazione di servizi e infrastrutture, gentrificazione, discriminazione ed emarginazione. Questi determinano la creazione di frammenti. Alcuni molto visibili e di gran rilevanza per l’immagine e per i poteri della città, altri, invece, ignorati, lasciati indietro e invisibili al “diritto alla città” (Lefebvre, 1968). Questi spazi sociali sono sempre politici, segni di una cittadinanza parziale o negata, di qualcosa che dovrebbe o potrebbe essere, ma non è; una continua negoziazione tra schemi estetici con cui questi spazi vengono percepiti, concepiti e vissuti. 
Nelle nostre città in continua trasformazione e frammentazione, nuove “cittadinanze del dissenso” (Rancière, 1998) rivendicano il diritto di essere visibili e ascoltate nello spazio pubblico. Pensiamo al tema della casa: molte persone sono  escluse dall'accesso a una soluzione abitativa adeguata e le loro voci e i loro bisogni sono strutturalmente invisibili. I luoghi in cui abitano tendono a essere nascosti, periferici, poi distrutti, "riqualificati" e quindi delocalizzati, dimenticati: invisibili all’ordine estetico-sociale della città. 
Milano Lambrate, ph. PostHumanUrbanists
I processi di riqualificazione urbana sono spesso operazioni pubbliche e private che  investono su quartieri stigmatizzati ritenuti da migliorare innanzitutto dal punto di vista estetico, con l'obiettivo di rinnovarne l’immagine secondo un modello dominante di “decoro”, tralasciando temi fondamentali come accessibilità e inclusione, partecipazione sociale, autonomia degli individui, etc. I processi di rigenerazione urbana tendono così ad addomesticare le estetiche dell’Altro, richiamandoci a una dimensione intersezionale di classe, genere, età, etnia e, in parte, in base all'orientamento sessuale. In questo modo, le minoranze marginalizzate - comprese le persone con disabilità, cui troppo poco spesso si dà visibilità - vengono “invisibilizzate” ulteriormente, in un processo di esclusione implicito, normalizzato, che non ha bisogno di essere giustificato perché assunto. In altre parole, il tasso di invisibilità cresce quanto più sono gli elementi che sfuggono alla prevedibilità, alla normalità e all'atteso, per una sottesa paura del diverso.
Milano Rovereto, ph. PostHumanUrbanists
Conclusioni
Bisogna diventare consapevoli dei processi che invisibilizzano il reale del nostro quotidiano, riappropriarci dei luoghi che attraversiamo ogni giorno ma anche di quelli che evitiamo, riconoscendoci attraverso la città intera, in tutti i suoi frammenti. Quali sono gli spazi di visibilità e invisibilità di cui avete esperienza? Cosa vedete e che cosa invece non volete vedere nella vostra città? 
Oggi nella città-vetrina l’unica cosa che conta sembra essere il suo consumo estetico individuale. Vi invitiamo, dunque, a un’azione collettiva di riappropriazione della città, riconoscendo i processi di invisibilizzazione come parte fondante di quelli di esclusione, rivendicando il diritto alla città attraverso il diritto allo sguardo, per poterci così riappropriare di tutto il reale.
Bibliografia: - Ghertner D. A. (2015), “Rule By Aesthetics: World-Class City Making in Delhi”, Oxford University Press, New York; - Lefebvre, H. (1970), Il diritto alla città, Padova: Marsilio (Interventi / [Marsilio], 7); - Mirzoeff N. (2011), “The Right to Look: A Counterhistory of Visuality”, Critical Inquiry vol. 37, No. 3, pp. 473-496; - Rancière J. (2016), La partizione del sensibile: estetica e politica, Derive Approdi, Roma.
*(Mirzoeff 2021 (2002) p. 41) 
Crediti
Articolo a cura di: Laura Abet, Pietro Agnoletto, Sebastian Felipe Burgos Guerrero, Senzio Sergio D’Agata, Giulia De Cunto, Francesca Lacqua, Carlos Alberto Manzano Moran, Laura Raccanelli, Michela Voglino
Con la supervisione scientifica di: Marianna d’Ovidio, Lavinia Bifulco, del corso di dottorato URBEUR-STUDI URBANI, Università di Milano Bicocca