Triennale Milano
Fondation Cartier pour l’art contemporain

Claudia Andujar e la lotta Yanomami

7 luglio 2020
L'11 giugno 2020 in Triennale si è svolto il secondo appuntamento di Verso la XXIII Esposizione Internazionale di Triennale Milano, intitolato La Terra vista dalla Luna. L’incontro è parte del percorso di avvicinamento all'Esposizione del 2022 e intende stimolare il confronto su alcuni temi centrali del nostro presente. A seguire, l'intervento di Grazia Quaroni, Direttrice delle collezioni di Fondation Cartier pour l’art contemporain.
La Terra vista dalla Luna, il secondo appuntamento di Verso la XXIII Esposizione Internazionale di Triennale Milano
La situazione in Amazzonia, aggiornata al 6 giugno, ci riporta la notizia della morte, a causa di Covid-19, di quattro persone e di decine contagi tra gli Yanomami della foresta amazzonica. I cercatori d’oro, chiamati garimperos, sono i principali responsabili della diffusione del virus. Le associazioni Yanomami, come Hutukara, hanno lanciato una campagna chiamata #MinersOutCovidOut, per raccogliere 100.000 firme a sostegno di una petizione che invita il governo brasiliano del Presidente Bolsonaro a espellere i minatori dal loro territorio. Il territorio Yanomami, sin dal 1992, costituisce la più grande area di foresta pluviale al mondo sotto il controllo indigeno.
Il 15 giugno a Parigi la Fondation Cartier pour l’art contemporain ha riaperto al pubblico una mostra dal titolo Claudia Andujar: The Yanomami Struggle. [Claudia Andujar La Lotta Yanomami] (curatore Thyago Noguiera, Instituto Moreira Salles, Brasile). Fondation Cartier ha presentato e sostenuto per vent’anni il lavoro di Claudia Andujar che, da cinquant’anni dedica la propria vita a fotografare e sostenere, attraverso il proprio lavoro, gli Yanomami, uno dei più grandi gruppi indigeni del Brasile. Quest’artista brasiliana, ora ottantenne, ha sempre attribuito alla propria arte una duplice natura, che unisce la dimensione estetica e quella dell’attivismo politico. La Andujar interpreta a livello visivo la complessa cultura Yanomami e la rende accessibile al grande pubblico. Il suo lato “militante” si esprime nella scelta di utilizzare la  fotografia come strumento per favorire il cambiamento politico. Per cinquant’anni ha lavorato fianco a fianco con gli Yanomami, diventando un riferimento per la loro comunità e incoraggiandoli a intraprendere un dialogo diretto con le autorità politiche.
La giovane Susi Korihana thëri mentre nuota, pellicola a infrarossi.Catrimani, Roraima, 1972-74.
Come ha affermato il portavoce degli Yanomami Davi Kopenawa: “Claudia non è una Yanomami, ma è un’amica autentica. Non sapevo come lottare contro i politici, contro le popolazioni non indigene. Lei mi ha dato le armi, non per attaccare i bianchi, ma per parlare in difesa del popolo Yanomami”.
La fragilità di tutte le specie, e soprattutto della nostra, è al centro del dibattito contemporaneo. L’opera di Claudia Andujar ha avuto il merito di rivelare la fragilità delle persone che vivono nella foresta, ma al tempo stesso ha fornito un contributo per renderle più forti, così che siano in grado di lottare per la propria sopravvivenza in una realtà difficile come è oggi quella brasiliana.
Abbiamo coinvolto come consulente per la mostra Bruce Albert, un antropologo che per decenni è stato al fianco di Claudia Andujar e del popolo Yanomami. Sulle pagine del "The New York Times" del 27 aprile 2020 ha scritto:
Il popolo Yanomami non è estraneo a epidemie mortali, tuttavia il 9 aprile molte persone in tutto il mondo sono rimaste sconvolte nell’apprendere che il Covid-19 aveva fatto la sua prima vittima tra questa popolazione indigena relativamente isolata della foresta amazzonica, lungo il confine tra Brasile e Venezuela. Questo orribile episodio ha fatto aleggiare lo spettro di una nuova catastrofe sanitaria tra gli Yanomami e costituisce un monito per altre popolazioni indigene dell’Amazzonia.
Al momento, il Covid-19 spaventa tutti noi. Ciò che stiamo provando non è probabilmente diverso da ciò che gli Yanomami hanno vissuto storicamente nel momento in cui hanno dovuto confrontarsi con le misteriose e letali epidemie che il nostro mondo ha inflitto loro.
Negli anni Settanta, l’allargamento della linea di confine della colonizzazione interna subì una crescita dovuta all’apertura, da parte della dittatura militare del Brasile, della strada Perimetral Norte nel territorio Yanomami. Dalla fine degli anni Ottanta, i territori degli Yanomami hanno subito periodiche invasioni da parte di cercatori d’oro illegali, i quali hanno contribuito alla diffusione di epidemie di malaria, influenza, tubercolosi e di malattie a trasmissione sessuale.
Oltre 20.000 garimperos, o minatori illegali, stanno attualmente devastando i territori degli Yanomami. Questi invasori, che sono numerosi quasi quanto gli Yanomami stessi (l’attuale popolazione Yanomami conta 26.780 individui), sono molto probabilmente responsabili dell’introduzione nella regione del Coronavirus. Anche in piena pandemia, le operazioni minerarie illegali hanno continuato a crescere. A livello più generale, la distruzione della foresta pluviale in tutta l’Amazzonia brasiliana ha subito un’accelerazione.
Quando la mostra è stata inaugurata, nel gennaio 2020, non eravamo a conoscenza di ciò che sarebbe accaduto, anche se, in termini di tempo, la pandemia era davvero vicina. Oggi questa esposizione deve essere rivista sotto una luce nuova che solleva una serie di interrogativi: qual è il ruolo dell’arte nel mondo attuale? Quale funzione svolgono i musei e le istituzioni artistiche nel soddisfare le esigenze degli artisti e del pubblico? Come al solito, sono proprio gli artisti a fornire una risposta a queste domande. Come molti artisti contemporanei, Claudia Andujar si concentra sulle urgenze della nostra epoca. La difesa delle popolazioni che vivono nelle foreste è urgente perché queste persone sanno come difendere e proteggere questi territori meglio di chiunque altro. E senza quelle foreste nessuno di noi potrebbe vivere. Come molti artisti, Claudia Andujar opera all’interno di una rete di scambio e condivisione, composta da antropologi, attivisti, scienziati e curatori. È compito delle istituzioni realizzare reti di questo tipo in modo che i diversi campi della conoscenza si parlino fra loro e possano restare uniti.
Casa collettiva vicino alla MissioneCattolica sul fiume Catrimani.Roraima,pellicola a infrarossi, 1976.
Mai come ora i legami tra le istituzioni, la circolazione delle idee, la varietà dei pubblici che visitano le mostre, la diffusione del pensiero degli artisti alla platea più vasta possibile, ma con il minor impatto in termini di spedizioni e viaggi, costituiscono le sole modalità di lavoro capaci di rendere un’istituzione culturale contemporanea. È necessario dare ascolto agli artisti e a chi fa parte delle loro reti. Danno nutrimento intellettuale al loro lavoro e tutti noi dobbiamo essere nutriti da loro. In passato, altre mostre della Fondation Cartier, come Trees nel 2019 o The Great Animal Orchestra nel 2016, hanno rivolto l’attenzione al mondo vegetale e animale. Riunire insieme artisti, scienziati, botanici, antropologi, filosofi e bio-ingegneri acustici, come Bernie Krause, ha permesso di evidenziare alcune situazioni di emergenza presenti nel mondo e, in questo senso, ha fatto in modo che le voci degli artisti diventassero risorse preziose. Queste mostre, alcune condivise con Triennale, come The Great Animal Orchestra, hanno dimostrato la necessità per gli artisti di lavorare supportati da una rete di conoscenze che l’istituzione di riferimento può contribuire ad arricchire e ampliare. Ecco un altro esempio: nel 2008, dopo aver analizzato le idee del filosofo francese Paul Virilio, lo studio di architettura americano Diller Scofidio + Renfro ha coinvolto oltre trenta persone e organizzazioni nella creazione dell’installazione immersiva Exit, che costituiva parte di una mostra dal titolo Native Land. Questa incredibile proiezione ha offerto una panoramica delle ragioni di più stretta attualità alla base delle migrazioni, per lo più legate ai cambiamenti climatici. Il progetto fa parte della collezione di Fondation Cartier e necessita di periodici aggiornamenti. È iniziata con un filosofo e ha finito con il coinvolgere architetti, geografi, statistici, antropologi e molti altri  ricercatori nel campo della scienza tout court e delle scienze sociali.
The Great Animal Orchestra, foto di Luc Boegly
Creare collegamenti, riunire persone e idee: questo è il compito delle istituzioni culturali. L'istituzione è tale in quanto dà ascolto agli artisti per sviluppare significato e consapevolezza: questa è la sola modalità con cui un’istituzione può essere parte del mondo contemporaneo. Mai come ora è fondamentale che le istituzioni possano lavorare all’interno di una rete e condividere. Ciò costituisce la base della partnership tra Triennale Milano e Fondation Cartier pour l'art contemporain che inizierà in autunno con l’edizione milanese della mostra di Claudia Andujar e continuerà per otto anni. Oggi e per molto tempo in Europa, riunirsi significherà ampliare e arricchire reciprocamente le  nostre reti, per essere a servizio degli artisti e contribuire ad accrescere la consapevolezza in ogni tipo di pubblico, in particolare nei più giovani, utilizzando i mezzi e le lingue più adatti per raggiungere tutte le generazioni. Realizzare e far crescere la consapevolezza, in un momento in cui ci sentiamo fragili più che mai, dovrebbe essere l’obiettivo attuale delle istituzioni artistiche.
Il dialogo è fondamentale. Condividere è necessario.
Foto di Estera Tajber/Michal Batory
Critica d'arte e curatrice di musei, Grazia Quaroni vive a Parigi dal 1991, anno in cui entra a far parte dello staff curatoriale della Fondation Cartier pour l'art contemporain, dove oggi è Direttrice delle collezioni. Ha collaborato a circa 40 progetti espositivi e si occupa di presentare la collezione in tutto il mondo, da Seoul a Buenos Aires fino a Shanghai. Grazia Quaroni è stata Professore Associato alla Sorbona di Parigi, docente e Direttore di Progetto nel Master di formazione curatoriale dedicato all'arte contemporanea e alla sua esposizione dal 2009 al 2012. Attualmente insegna Studi Curatoriali alla Sorbona con sede ad Abu Dhabi.